“Gentile dottoressa, le scrivo perché da sempre, fin dall’adolescenza, ho avuto un grande pudore nel parlare delle mie cose intime. Mi vergogno ancora oggi di esporre il mio corpo nudo davanti agli altri anche se in famiglia, girano disinvolti senza indumenti. Eppure mi dicono che ho un bel fisico, e anche con il mio ragazzo non ho problemi. Ma mi imbarazzo a fare o ascoltare certi discorsi legati all’intimità e al sesso. Sento le mie amiche raccontare disinvoltamente dei loro rapporti sessuali e mi prendono in giro. Mi dicono che sono troppo timida, antica, inibita e che dovrei parlare con uno psicologo. Lei cosa ne pensa?”
Prendo spunto dalla mail di questa giovane ragazza di 19 anni, per parlare – seppur sommariamente – di un sentimento che va riconsiderato secondo categorie culturali e sociologiche perché si rischia di psicologizzare, psicoanalizzare, giudicare comportamenti e reazioni individuali avulsi dal contesto socio-culturale dei nostri tempi.
Oggi non ci si vergogna più di niente. E’ vero. Lo vediamo tutti ogni giorno. Non si conosce più il sentimento del pudore, dell’esposizione di se stessi, non solo a livello fisico ma dei comportamenti, dei discorsi, dei racconti.
Oggi con l’avvento dei social, se vuoi esistere, se vuoi essere qualcuno, devi esporre il tuo corpo, ma soprattutto i tuoi sentimenti e dare in pasto a tutti la tua intimità.
E’ come se non vergognarsi più di niente, significasse aver raggiunto un livello evolutivo e di libertà che ci distanzia da un passato deprimente e repressivo perché la vergogna e il pudore sono sinonimi di repressione, di introversione, di chiusura in se stessi e quindi sono patologici.
Di questo è responsabile sicuramente una certa psicologia che vede nel pudore, una forma di inibizione, di repressione degli istinti, un disadattamento sociale che va curato. E per curarlo, hanno dato un grande contributo quelle trasmissioni televisive che hanno fondato il loro “core-business” sulle intime rivelazioni di personaggi famosi e di persone comuni, sulle confessioni di segreti personali, ostentazioni di aspetti intimi di sé, della propria famiglia, della vita affettiva e sessuale.
Ma si, rendiamo tutto pubblico, in una sorta di voyeurismo e di pornografia dell’anima.
E la cosa peggiore è che questa mancanza di vergogna viene vista come una virtù perché se non ti vergogni di niente significa che non hai niente da nascondere, quindi sei una persona sincera e limpida.
Essere senza vergona, senza pudore, senza segreti diventa la misura di una salute individuale e sociale.
Cosi i giovani, imparano a dare se stessi in pasto a tutti, il loro sentire diventa una proprietà comune. Non custodire più nulla per sè, significa appartenere a tutti in una sorta di “comunismo” dell’intimità che in realtà omologa ancora di più ad una società che vuole l’esposizione continua, senza saziarsi mai.
Ma il pudore è una qualità dell’anima; è innata ma va anche insegnata, curata e difesa.
Allora, rispondendo a questa ragazza, posso dirle che rivendico personalmente il diritto del sentimento della vergogna e del pudore e mi sottraggo a quell’omologazione della società che ci vuole tutti “prostituti” e che ci induce ad esercitare e seguire questa psico-pornografia.
Sono bigotta? Antica? Repressa? Frustrata?Disadattata?Forse si, per gli altri. Ma sto bene così. Il criterio di verifica è la mia salute, il mio equilibrio, il mio senso della felicità.