Sono disperata/o. Non ce la faccio a vivere senza di lui/lei. Avrà un altra/o? Cosa ho sbagliato? Perché è successo?

Sono queste le frasi più frequenti pronunciate da chi è stato appena abbandonato. Che sia improvviso o che sia preceduto da un lungo periodo di crisi, è comunque un fatto che “spezza dentro”, un vero e proprio shock emotivo. Il primo studioso che si è occupato delle esperienze di separazione e del lutto è stato John Bowlby che, raccogliendo le reazioni di angoscia di una bambina di due anni, ricoverata in ospedale senza la possibilità di avere accanto la propria madre, ha esteso le sue osservazioni anche a persone rimaste vedove e agli adulti che avevano subìto una separazione o un divorzio doloroso dal loro coniuge.

Sono state così individuate tre fasi comuni che si attraversano dopo un abbandono: la protesta, la disperazione e il distacco.

Le fasi dell’abbandono

La protesta è caratterizzata da reazioni piuttosto smoderate: pianto, grida, agitazione, rabbia, necessità di vendicarsi o anche ansia e attacchi di panico. E’ una reazione “attiva” che manifesta la negazione, il rifiuto della realtà. Inconsapevolmente si agisce in questo modo con l’intento di influenzare il ritorno della persona andata via.

La disperazione è la fase successiva che subentra a seguito della delusione e dell’esito negativo della prima fase. Il ritorno non c’è stato, compaiono astenia e depressione accompagnate spesso da sintomi psicosomatici: insonnia, disturbi gastroenterici, alterazioni del comportamento alimentare e disfunzioni cardiache.

La terza fase è quella del distacco. La persona abbandonata ha accettato finalmente la realtà e si distacca a sua volta, affettivamente ed emotivamente, dalla persona persa. In questo modo si riorganizza a livello emotivo e può ricominciare le normali attività che svolgeva una volta.

Il tempo è un fattore che aiuta a guarire la ferita dell’abbandono. C’è chi parla di un minimo di sei mesi, a volte ci vogliono anni. Ognuno ha i suoi tempi: bisogna attendere e agevolare un cambiamento interno in cui ci si rende conto che si è pronti a voltare pagina.
La fine di una relazione causa un dolore profondo, paragonabile a quello per la morte di una persona amata. Ed è proprio così. Per superarlo, bisogna elaborare un vero e proprio lutto e imparare a gestire le emozioni in modo corretto affinché non degenerino in una malattia.

Come affrontare questo momento? Vi propongo alcune idee, spunti di riflessione ed errori da evitare.

Suggerimenti per superare l’abbandono

All’inizio, non si comprende perché sia finito un amore (a meno che non ci sia stato un palese tradimento). Si cerca a tutti i costi di trovare una spiegazione razionale a ciò che è accaduto andando ad indagare i perché, le cause remote, logorandosi per mesi. Semplicemente è finito un sentimento per noia, per abitudine o perché il proprio percorso esistenziale prevedeva un cambiamento. E non accade mai all’improvviso. La fine è preannunciata da tanti piccoli gesti, sfumature, situazioni e segnali che non si sono voluti vedere.

Poi si insiste: cercando, chiedendo occasioni di incontro per chiarire, per parlare, per spiegare che si è pronti a cambiare. Ma è inutile negare la realtà e vivere nell’illusione di una possibile riconciliazione. E’ una forma di masochismo psicologico. E’ illusione, poi, credere che una telefonata o un messaggio dell’altro inviato per una forma di preoccupazione, sia il segnale che: “Ma allora, forse, mi ama ancora un po’”. No. E’ meglio accettare la realtà.

Sarebbe meglio evitare di chiedere subito un rapporto di amicizia. Spesso lo si fa illudendosi di soffrire di meno o per mantenere una speranza che l’amore possa ritornare. Di solito, invece, provoca una chiusura più rigida. Prima che si possa riprendere un rapporto formale con l’altro, occorre tempo e non è detto che accada.

E’ bene accettare e vivere tutto il dolore, senza reprimere le lacrime e la disperazione. Non siamo deboli se accettiamo i sentimenti perché è normale soffrire, è normale sentirsi disperati, affranti, arrabbiati; è normale piangere, normale stare chiusi in casa e non avere voglia di vedere nessuno. Sarebbe un errore sforzarsi di uscire, di farsi scivolare tutto addosso come se niente fosse successo. Anche la strategia del “chiodo schiaccia chiodo”, accentua ancora di più il senso di solitudine interiore. Anche le frasi “Morto un papa se ne fa un altro!”, “Non ci pensare!”, “Vuol dire che non era destino”, in pratica non aiutano. Come non aiuta parlare sempre dello stesso argomento con gli amici, rimurginando sempre sullo stesso fatto. E’ una forma di masturbazione psichica che imprigiona e non permette di liberarsi e lasciar andare il passato.
Deleterio poi, è attribuirsi tutta la colpa per non essere stati capaci di cogliere i segnali della fine o per non aver fatto di tutto per riconquistarlo/a, per averlo/a dato per scontato. Anche se ci fosse stata l’eventuale responsabilità di un fallimento, ciò non è mai esclusivo. Le responsabilità sono sempre reciproche, come reciproca spesso è, l’ intenzione inconscia di interrompere il rapporto.

Al contrario, non serve nemmeno considerarsi e comportarsi come una povera vittima, arrabbiata con il mondo. La cosa più utile è analizzare quali sono stati i propri errori per tentare di non commetterli in futuro, non tanto nei confronti dell’altro ma nei confronti di se stessi. Si, perché il dolore è ancora più grande per quelle persone che hanno puntato tutta la loro vita e la loro felicità sul rapporto di coppia: hanno rinunciato ai loro sogni, ad un lavoro gratificante ma distante da casa, hanno trascurato le amicizie, abbandonato passioni, nell’illusione che l’amore potesse compensare di tutto.

Inutile poi coltivare la nostalgia e il rimpianto di aver perso “l’uomo e o la donna ideale”. “Non incontrerò mai più una persona come lui/lei!”. E’ vero, non si incontrerà più perché l’ideale o l’anima gemella non esiste. Esistono invece “compagni di viaggio”, persone che incontriamo in base a come siamo in quel momento, che ci aiutano a crescere, ad imparare qualcosa di nuovo su noi stessi. Finito un amore, ne vivremo un altro che ci corrisponde di più, che è più adatto al tipo di persona che siamo diventati.

E’ difficile vivere la fine di un amore ma può essere un momento di crescita e l’inizio di un percorso di consapevolezza in cui ricostruire gli “abbandoni passati”, per comprendere che forse abbiamo carenze affettive che risalgono all’infanzia, per non ripetere più i copioni di dolore che abbiamo vissuto finora. E’ l’occasione di un autorinnovamento anche se non avremmo mai scelto di sperimentare.

Ma nulla accade per caso. Gli eventi traumatici della vita arrivano per farci cambiare rotta e dal dolore può nascere una nuova identità, un nuovo modo di essere.
E la vita è più piena e più bella rispetto a prima.

5 modi per vivere la fine di una relazione

(estrapolato da un seminario di crescita personale con il Prof. Giuseppe Cocca)

1.“Ciao, mi dispiace, è tutto finito, sto con un altro/a, dimenticami”
Reazione n.1
Mi crolla il mondo addosso, mi sento bloccata, dove ho sbagliato, la mia vita è finita, mi sento paralizzata/o.
(emozioni: senso di colpa, paralisi, apatia, pena per se stessi)
2.“Ciao, mi dispiace, è tutto finito, sto con un altro/a, dimenticami”
Reazione n. 2
Cosa faccio? Oh… come soffro… e adesso senza di lui/lei..no..
(emozioni: paura, disperazione, dolore allo stomaco, paralisi)
3.“Ciao, mi dispiace, è tutto finito, sto con un altro/a, dimenticami”
Reazione n.3
Brutta stronza/o! Dopo tutto quello che ho fatto per te..
(emozioni: rabbia, collera, sangue alla testa o tensione del corpo)
4.“Ciao, mi dispiace, è tutto finito, sto con un altro/a, dimenticami”
Reazione n.4
Può succedere nella vita, i rapporti possono finire … ne trovo uno/a più adatto a me …
(emozioni: distacco, coraggio, leggera tensione)
5.“Ciao, mi dispiace, è tutto finito, sto con un altro/a, dimenticami”
Reazione n.5
Mi dispiace… ti auguro ogni bene…chissà cosa mi offre la vita di ancora meglio..
(emozioni: accettazione, comprensione, rilassamento)
5 modi di reagire ad una stessa situazione. 5 momenti o fasi di elaborazione della ferita affettiva. Qual è il tuo?