E’ in aumento il numero di genitori che si rivolgono alla psicoterapia per i problemi psicologici e comportamentali dei figli adolescenti.
Una tendenza che denota sicuramente la capacità di riconoscere la presenza di un problema o di una difficoltà – premessa indispensabile per uscirne – ma che spesso nasconde un atteggiamento molto comune: il facile ricorso alla delega ovvero, affidare ad un “esperto” la risoluzione del disagio chiamandosi fuori, non riconoscendo cioè che in quel disagio si è parte in causa, sia come personalità individuale che come sistema familiare. Il genitore ha paura di fare autocritica e quando viene chiamato a collaborare in prima persona, fugge dalla psicoterapia portandosi dietro il ragazzo o la ragazza che viene lasciato a sé o sottoposto alle cure “miracolose” di farmaci e psicofarmaci.
Osservare il proprio figlio/a, depresso, triste, asociale, aggressivo, pigro, apatico, solitario, silenzioso, diverso da come si vorrebbe, (i termini più usati da genitori preoccupati) suscita pensieri e riflessioni che non si sanno sostenere. Inizia così un processo di razionalizzazione e di minimizzazione: “ Forse è l’età particolare, l’influenza del gruppo che frequenta, la sensibilità del ragazzo, e poi è un’età in cui questo è normale….prima o poi passerà”. E invece spesso non passa.
L’adolescenza è una fase di passaggio esistenziale che negli ultimi anni si è prolungata oltre i 25 anni, caratterizzata dall’instabilità e dall’insicurezza, dalla malinconia e dal bisogno di certezze. Si abbandona l’infanzia per entrare in un mondo che fa paura, che viene vissuto come un nemico. Si va alla ricerca degli amici che spesso diventano il branco, un gruppo che sostituisce la famiglia dentro il quale il giovane trova regole, costumi, modi di vestire, di pensare nel quale cercare quel senso di appartenenza e di identità che attenua un pò l’ansia di vivere.
Un adolescente “problematico” è quasi sempre il frutto di genitori ansiosi che non hanno superato le proprie paure personali e le proiettano inconsapevolmente sui propri figli. Genitori alla ricerca di sicurezze e garanzie che diventano iperprotettivi nel tentativo di risparmiare ai figli dolori e delusioni o di prevenire i rischi di scelte e decisioni che fanno parte del percorso di crescita di ognuno. Ecco allora che i desideri, le virtù, le attitudini naturali del giovane non vengono riconosciuti ma sono ostacolati in nome di una sicurezza che non esiste più e che provoca la paralisi esistenziale, causa blocchi emotivi e psicologici, deviazioni mentali e comportamentali vissuti spesso in silenzio.
Ma non è l’adolescenza ad essere pericolosa: pericoloso è il modo come la si vive e come se ne esce. E non è un caso che nella psicoterapia con gli adulti si debbano affrontare i vissuti dell’infanzia e dell’adolescenza. Adulti che non hanno fiducia in se stessi, che non conoscono i propri bisogni perché impegnati ad assorbire e a soddisfare quelli di chi voleva garantire loro una vita tranquilla, pianificata e senza imprevisti.
Ma una vita senza imprevisti, senza cambiamenti, senza novità è una vita senza gioia e senza passione che apre le porte dalla depressione e ai comportamenti autodistruttivi.
Allora quando si ha davanti un adolescente che ha bisogno di aiuto, è importante aprire con lui una comunicazione profonda sulla sua esistenza. Aiutarlo ad esternare paure e desideri nascosti, a sostenerlo con fiducia nel suo cammino di crescita risvegliando l’amore verso se stesso e favorendo l’abbandono di quella dimensione infantile così comoda ma limitante, spesso agevolata e prolungata dai genitori stessi.
E’ un atto d’amore aiutare un figlio ad affidarsi ai propri istinti e alla propria sensibilità per scoprire il mondo secondo la propria unicità. Un atto d’amore che implica da parte del genitore l’accettazione del figlio così com’ è senza volerlo plasmare in base alle proprie credenze e alle proprie convinzioni. Amarlo significa renderlo libero di diventare ciò che è anche se ciò che vorrà diventare non sarà quello che ci si “aspettava” da lui.
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