“Mi sento in colpa…”. Chi di noi non ha mai pronunciato o sentito questa frase?
Mi sento in colpa perché non sono riuscita a salvarlo, perché l’ho fatta soffrire, perché gli ho procurato un grave danno, perché potevo fare di più, perché l’ho deluso, perché sto bene e lui/lei no. Perché….perché…
Sembra che il senso di colpa sia universale, presente dall’inizio dei tempi e soprattutto ineliminabile. E’ il sentimento spiacevole di sentirsi colpevoli, immorali e riprovevoli, a causa delle proprie azioni, dei pensieri o dei desideri.
Ci hanno insegnato fin da piccoli che siamo colpevoli e dobbiamo chiedere perdono non soltanto per “ pensieri, parole opere e omissioni” per cui ci facevano recitare “per mia culpa, mia culpa, mia grandissima culpa” ma anche per le intenzioni. Non ci dicevano così durante il Catechismo? Poi però c’era la confessione e tornavamo puliti e innocenti.
Già, perché il senso di colpa quando lo proviamo, serve soprattutto a noi stessi, a farci sentire più buoni, innocenti e con la coscienza un po’ più pulita.
Bert Hellinger, ideatore del metodo delle Costellazioni familiari afferma che il senso di colpa ha lo scopo di espiare le colpe commesse da altri o di quelli venuti prima di noi per riportare l’equilibrio nel sistema familiare a cui apparteniamo e non sentirci esclusi.
Ma nell’aspetto pratico non serve a niente se non lo utilizziamo per riparare un effettivo danno o per conoscere e migliorare noi stessi.
Allora proviamo a vederlo in modo diverso. Come? Come un aspetto del nostro narcisismo e un peccato di superbia.
Il senso di colpa è un modo patologico di sentirci protagonisti all’interno di una situazione o di una relazione dove ci assumiamo la responsabilità, il peso assoluto delle azioni commesse da un altro come se solo noi, potessimo riuscire a sostenere e ad alleviare la sofferenza dell’altro. Soffrendo e partecipando del suo stesso destino esercitiamo quel pensiero magico come quando da bambini credevamo che il nostro pianto o il nostro sorriso poteva determinare la felicità o l’infelicità dei nostri genitori.
Poi, se ci ascoltiamo un po’ in profondità, proviamo anche un sentimento di ostilità nei confronti di chi l’ ha suscitato, perché ci facciamo carico di un peso che l’altro non ci ha chiesto di sostenere e ci sentiamo manipolati.
Come ce ne liberiamo?
Prima di tutto bisogna riconoscerlo attraverso un’ indagine introspettiva perché spesso è inconscio.
Poi verificare se oggettivamente abbiamo commesso un torto e in questo caso, progettare un modo per ripararlo, anche chiedendo scusa.
Imparare a dissociare il comportamento o l’azione commessa dalla nostra personalità. Non dire “sono” egoista ma “ho agito” da egoista e poi cambiare l’azione.
Ricordare che è spesso un campanello di allarme che ci permette di verificare se siamo stati manipolati per interessi altrui.
Soprattutto riconoscere se dietro il senso di colpa verso un altro nascondiamo una colpa nei confronti di noi stessi per non aver esaudito un desiderio o per aver tradito un nostro progetto di vita.
Questo è l’aspetto più doloroso del senso di colpa che viene poco riconosciuto: il tradimento del nostro senso della felicità.
Oggi è facile sentirsi in colpa quando siamo felici, quando ci siamo fatti un regalo, o peggio quando desideriamo qualcosa di diverso e non ci permettiamo di goderne perché abbiamo intorno qualcuno che non è felice altrettanto come noi. Sappiamo sopportare un senso di colpa per molti anni ma non sappiamo sostenere un senso di felicità e di soddisfazione personale mettendo in atto inconsapevoli autosabotaggi.
Allora ogni volta che sentiamo emergere il senso di colpa, fermiamoci un attimo e facciamo una piccola autoanalisi. O ripariamo un torto effettivamente commesso oppure, riconosciamo che l’altro ha la dignità, la forza e l’intelligenza di uscire dal disagio con le proprie capacità. E se lascio andare il senso di colpa come segnale della mia presunta superiorità, guadagnamo entrambe in salute e intelligenza.