Esiste un modo di comunicare sia verbale che non verbale ( attraverso lo sguardo, tono di voce, posizione del corpo, i gesti, ecc.) che- anche se inconsapevole – può generare sensi di colpa e attraverso questi manipolare i pensieri e i comportamenti di un figlio ma anche di un genitore. E’ un gioco reciproco che impedisce il raggiungimento di una maturità psicologica ed emotiva costringendo la persona a rimanere dipendente, a non raggiungere una piena autonomia e una realizzazione personale.
Mutismi, sguardi arcigni o frasi del tipo: “Con te non parlo così impari”; “Non venirmi più vicino” “Come posso fidarmi ancora di te?” “Non ti ricordi quello e hai fatto tre anni fa?”, servono per far sentire colpevole l’altro di non averci amato abbastanza.
Tipiche sono certe frasi del genitore:
? mi sono sacrificato per te
? ho rischiato di morire solo per metterti al mondo
? sono rimasta con tuo padre solo per amor tuo
? divertiti pure come hai sempre fatto, tanto pensi solo a te stesso
? ci hai fatto fare una brutta figura
? vergognati del tuo comportamento
? che penseranno i vicini?
? mi farai venire un infarto
Il figlio si accolla tutte le difficoltà psicologiche, i traumi, i problemi irrisolti del genitore fino ad accollarsi la colpa di un’eventuale morte o di una malattia perché convinto di aver provocato un dolore o una delusione profonda a chi lo amava di più.
Una volta percepite le fragilità, i blocchi emotivi e psicologici dei genitori, il figlio a sua volta diventa un manipolatore attraverso i suoi disagi e i disadattamenti sociali. E le frasi tipiche possono essere:
? vuoi più bene a mia sorella/fratello che a me;
? non ci sei mai quando ho bisogno
? mi tratti sempre male
? i genitori dei miei amici non sono come te
? era meglio non nascere
? mi hai fatto scegliere la scuola sbagliata
? è colpa tua se sono infelice
? in questa casa non mi capisce nessuno
? se muoio, vi faccio un favore
I figli ovviamente imparano osservando gli adulti, e le frasi sono efficaci perché i genitori hanno spazi di vulnerabilità personale che non conoscono.
Come possiamo fare perché ciò non accada?
Innanzitutto prendere coscienza del comportamento e del linguaggio che usiamo con chi amiamo, riconoscendo che spesso abbiamo l’esigenza nevrotica di voler possedere i figli e di vivere la nostra vita attraverso loro. Il compito di un buon genitore è invece quello di accompagnarli fino all’indipendenza, aiutarli a conquistare la loro autonomia e raggiungere la realizzazione personale anche se è diversa da quella che immaginavamo noi.
Ma se non riconosciamo a noi stessi un valore personale, insegniamo ai figli a non averne. Se invece impariamo ad amarci, ad avere una nostra dignità, ad apprezzare ed essere soddisfatti della vita che ci siamo costruiti, non saremmo più costretti a ricorrere alle manipolazioni per ottenere dagli altri quello che non abbiamo saputo dare a noi stessi.