“Non mi manca niente ma sono infelice” – così esordisce un ragazza di 32 anni- qualche tempo fa.
“Ho tutto. Un lavoro ben pagato in una multinazionale, un ragazzo che mi ama, una bella casa. Facciamo vacanze ogni anno e ho buoni amici. Sono in salute e i miei genitori mi hanno sempre appoggiato. Però, sento un vuoto dentro. Che me ne faccio di tutto questo? Ma non lo posso dire, mi prenderebbero per matta e per ingrata”.
E quando dallo psicologo si presenta una giovane così, che diagnosi faremmo? Disadattamento? Depressione? Nevrosi? Lutto irrisolto?
Tutte etichette che non danno risposta alla domanda esistenziale di una giovane che non trova più un significato per vivere.
Eppure lei ha fatto tutto come da programma, in una società complessa immersa in problemi economici, consumistici, basata sul successo, sul fare, sulla velocità, sull’angoscia dell’arrivare ma che va perdendo il senso della vita.
Troppo avere, tutto fare e poco essere.
E oggi sarebbe guardata male e giudicata dai più, con cinismo e invidia perchè la maggioranza quei traguardi ancora li sogna.
Ma questa ragazza soffre perché si sta accorgendo di aver costruito la sua vita su una identità fittizia, su un Io ideale, una maschera che non rispecchia il suo vero Sé. Questo Io Ideale – o ideale dell’Io – è stato nutrito, coltivato, coccolato, amato, mitizzato e vissuto giorno dopo giorno, con il suo consenso, con la sua convinzione. E’ diventato il suo ideale o era l’ideale di altri?
E a trent’anni la maschera stringe, soffoca, toglie energie e motivazioni. Si comincia ad avvertire la mancanza di un “originale” che non riesce ad esprimersi, a realizzarsi. E si soffre un tipo di separazione, una forma di nostalgia che può chiamarsi “nostalgia dell’essere”, una dimensione spirituale e metafisica di cui siamo parte.
Ed è su questo terreno che la psicoterapia e la psicologia devono misurarsi oggi, un terreno che non appartiene più alla religione, alla psichiatria o alla medicina che medicalizzano anche l’anima.
La psicoterapia deve tornare ad occuparsene,a prendersene cura, accoglierne le sofferenze e aiutare tanti giovani e adulti a non sentirsi più strani, diversi o peggio malati ma a sostenerli per uscire dal pantano dei condizionamenti e del conformismo, dalla paura e dall’angoscia di vivere.
Una psicoterapia della riscoperta e della ripartenza perché ognuno possa ritrovare il suo personale senso della vita, una ragione per essere felice, trascendendo ciò che fa, ciò che ha costruito, ciò che è diventato.
Non siamo quello che facciamo o quello che abbiamo. Siamo molto di più.
E sarebbe bello cercare e vivere nella quotidianità, anche per un momento, il sentimento della felicità.
Non più come un effetto secondario di un fare o di un avere, ma una dimensione che è sempre dentro di noi, ogni volta che viviamo la forte percezione di appartenenza e connessione con l’essere.